Sin dai tempi più remoti gli agrumi sono stati coltivati in Sicilia; in particolare, le zone collinari e pianeggianti circostanti il vulcano dell’Etna si sono specializzate nella coltivazione di un’unica varietà, la cui produzione viene favorita dalle elevate temperature della zona; queste favoriscono, infatti, la concentrazione di zuccheri e di pigmenti antociani nei frutti. I pigmenti antociani sono gli stessi che conferiscono il tipico sapore dolce.
Gli agrumi, sono parte integrante dell’identità siciliana e hanno molto da raccontare in termini di tradizione e cultura, impegno e fatica, ma anche studio, progresso e impiego integrato degli strumenti necessari per produrre maggiore quantità e qualità nel rispetto dell’ambiente.
Esiste un mito che attribuisce ad Ercole la paternità della diffusione degli agrumi. Ercole dovette affrontare ben 12 prove della quale la penultima era quella di impossessarsi dei “Pomi Aurei”, destinati ad essere il dono per le nozze di Era, custoditi nel giardino delle Esperidi (le ninfe Egle, Aretusa, Iperetusa) a cui faceva la guardia un mostro che poi venne sconfitto dall’eroe. Secondo un’interpretazione etimologica il giardino delle Esperidi doveva trovarsi nell’odierno Marocco, un tempo Mauritania. Ancora oggi il termine “esperidio” si usa per indicare gli agrumi.
Nell’827 d.C l’isola venne conquistata dagli Arabi che diffusero la coltivazione degli agrumi in tutta la Sicilia. A quei tempi si usavano gli agrumi a scopo ornamentale, per creare essenze e per medicamenti. Butera, il poeta arabo siciliano vissuto verso la metà del 1100, scrisse i seguenti versi:
“Le arance dell’isola sono simili a fiamme brillanti tra rami di smeraldo e i limoni riflettono il pallore di un amante che ha trascorso la notte in lacrime per la lontananza (dell’amata)”.
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